Obesità quale causa di alterazione sinaptica, microgliale e cognitiva

 

 

LORENZO L. BORGIA

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIII – 12 dicembre 2015.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Nella vita per essere importanti bisogna avere un certo peso.

Ecco, io questa massima l’ho presa alla lettera.

[Tino Buazzelli]

 

 

L’obesità come caratteristica dell’aspetto associata a valori positivi, tanto in chiave simbolica quanto nei termini di requisiti di personalità, è un’eredità dell’immaginario collettivo comune alle culture orientali ed occidentali, che ha attraversato i millenni: dall’antica opulenza del Buddha che esprime saggezza, alla sottile e raffinata intelligenza contemporanea attribuita ad investigatori in sovrappeso, nati dalla fantasia di grandi scrittori: Nero Wolfe di Rex Stout, Poirot di Agatha Christie, Maigret di Georges Simenon. Le intuibili radici psicologiche di questa tendenza, che è antropologica, prima ancora che culturale, entrano in contrasto con quanto la ricerca sta impietosamente accertando e dettagliando: lo stato di eccesso ponderale dovuto ad accumulo di grasso si associa quasi costantemente a riduzione di efficienza ed abilità in varie prestazioni cognitive.

Nella realtà umana il pesante condizionamento delle prestazioni cognitive da parte dell’obesità è noto e sperimentalmente dimostrato. In particolare, l’obesità è stata associata a deficit in compiti intellettivi e ad atrofia di regioni cerebrali implicate nella memoria e nell’apprendimento. Nonostante queste evidenze, solo pochi studi hanno provato ad indagare i meccanismi cellulari sottostanti l’influenza negativa esercitata dallo stato patomorfologico dell’eccedenza ponderale sui processi mentali. Un team guidato da Elizabeth Gould ha impiegato un modello di obesità del ratto, indotto da dieta, per analizzare i possibili processi patogenetici che collegano l’eccessivo aumento di peso ad alterazioni cerebrali responsabili di ridotte prestazioni cognitivo-comportamentali.

Lo studio ha provato che le fasi iniziali dell’obesità, prima del manifestarsi di diabete e sindrome metabolica, comportavano già deficit cognitivi dei roditori in compiti sperimentali che richiedono l’intervento della corteccia prefrontale.

Miriam Bocarsly e i suoi colleghi coordinati dalla Gould hanno rilevato e provato che i limiti di prestazione erano associati a perdita sinaptica, diminuzione del numero di spine dendritiche e riduzione dell’espressione di proteine sinaptiche, accanto ad evidenti alterazioni strutturali delle cellule immunitarie del cervello, ossia della microglia (Bocarsly M. E., et al. Obesity diminishes synaptic markers, alters microglial morphology, and impairs cognitive function. Proceedings of the National Academy of Sciences USA – Epub ahead of print doi:10.1073/pnas.1511593112, 2015).

La provenienza degli autori è la seguente: Princeton Neuroscience Institute, Princeton University, Princeton, New Jersey (USA); Department of Psychology, Princeton University, Princeton, New Jersey (USA); Department of Integrative Physiology and Neuroscience, Washington State University, Pullman, WA (USA); Laboratory of Neuroendocrinology, The Rockefeller University, New York (USA).

In passato, la diagnosi di obesità, quando non vi era un’evidenza assoluta alla semplice osservazione ispettiva, si basava sull’integrazione di più criteri[1], quali il peso relativo (riferito ad un valore medio per altezza ed età), il calcolo dell’indice di massa corporea (BMI) rapportato ai valori percentili della popolazione di appartenenza (85° percentile nei giovani), la misura dello spessore delle pliche cutanee tricipitali, sottoscapolari e di altri distretti critici per la stima del grado di adiposità, e infine la misura della densità corporea mediante metodi di diluizione isotopica. Attualmente si tende, seguendo i criteri ormai classici del Framingham’s Study e delle Commissioni per lo studio dell’obesità dei National Institutes of Health (NIH), a privilegiare il riferimento ad una soglia di rischio, piuttosto che ad un valore astratto come il peso ideale: un incremento ponderale pari al 20% del peso relativo o un BMI superiore all’85° percentile nei giovani, può diventare un fattore di rischio.

Ormai da molti anni negli Stati Uniti e da qualche tempo anche in Europa e nel nostro Paese, l’obesità è considerata un rilevante problema di salute pubblica che, oltre a costituire un fattore di rischio cardiovascolare e di predisposizione a numerose altre affezioni, interessa complessivamente il benessere fisico e psicologico della persona. Per tale ragione, i governi della maggior parte dei paesi più sviluppati finanziano progetti di ricerca finalizzati a migliorare la conoscenza e la prevenzione di questo disturbo, che costituisce anche un problema economico, in quanto condiziona un aumento del rischio di invalidità e una riduzione del numero di ore lavorate. Sebbene in molti di questi progetti prevalgano gli studi epidemiologici, genetici e nutrizionali, non mancano i lavori di ricerca che integrano, completano o si affiancano alla ricerca accademica che indaga i rapporti fra funzione nervosa e stato nutrizionale.

A dispetto della notevole mole di dati che suggerisce un’associazione fra obesità e disfunzione di processi cognitivi, questo rapporto ha finora ricevuto scarsa attenzione da parte delle grandi scuole neuroscientifiche. Studi condotti in persone obese con metodiche di neuroimmagine, soprattutto mediante risonanza magnetica nucleare (RMN), hanno documentato una riduzione del volume di regioni cerebrali (ippocampo, neocorteccia) implicate in processi cognitivi fondamentali, come quelli a supporto della memoria e dell’apprendimento. Tali studi, in molti casi, hanno escluso in maniera sufficientemente certa, anche se non assoluta, l’interferenza di fattori diversi dall’eccesso ponderale nel determinare valori volumetrici medi più bassi nelle aree cerebrali degli obesi rispetto alle persone non obese dei gruppi di controllo, equivalenti per sesso ed età.

Solo pochi studi hanno finora hanno provato ad indagare i processi cellulari sottostanti il declino cognitivo nell’obesità o l’influenza dello stato caratterizzato da eccessivo accumulo di grasso sulla cognizione, in assenza di malattie correlate all’obesità. Elizabeth Gould, Miriam Bocarsly e colleghi hanno impiegato un modello di obesità ad induzione alimentare nel ratto, per studiare l’insorgere e i caratteri dei cambiamenti indotti in regioni cerebrali importanti per la cognizione.

Gli esperimenti basati su compiti comportamentali hanno dimostrato che i ratti divenuti obesi presentavano deficit prestazionali in compiti richiedenti l’intervento della corteccia prefrontale e della corteccia peririnale. Lo studio dei neuroni di queste due regioni corticali del cervello murino, che hanno un equivalente funzionale nel cervello umano, ha rivelato che i difetti di prestazione cognitiva avevano un sostrato neurobiologico, verificato mediante il gruppo di animali di controllo, in una riduzione della densità delle spine presenti sulle principali arborizzazioni dendritiche (indice indiretto della riduzione delle sinapsi eccitatorie asso-dendritiche) e dei markers sinaptici (indice diretto della riduzione delle giunzioni sinaptiche totali). Un altro aspetto interessante riguarda la microglia: nella corteccia prefrontale dei ratti divenuti carenti nelle prestazioni cognitive le cellule microgliali presentavano numerose ed evidenti alterazioni morfologiche. Sebbene il ruolo principale di questa importante componente gliale del sistema nervoso centrale sia di carattere immunitario, l’intervento di questa linea cellulare non neuronica nelle funzioni cerebrali è noto da tempo ed è anche stato anche proposto in recensioni di lavori che appaiono su questo sito web.

L’osservazione sperimentale ha poi documentato che le variazioni e le alterazioni rilevate nella corteccia prefrontale e nella corteccia peririnale dei ratti divenuti obesi e deficitari nelle prestazioni cognitive, si verificavano prima che i roditori avessero sviluppato diabete e sindrome metabolica, come regolarmente accade in questo modello sperimentale. Tale rilievo indica che le alterazioni neurobiologiche corticali non sono la conseguenza del disturbo endocrino-metabolico della fase avanzata, e suggerisce una particolare vulnerabilità di queste regioni cerebrali alle condizioni della fase precoce dell’obesità.

Anche se questo genere di studi è solo agli inizi, e la via che porterà a delucidare tutti i meccanismi molecolari e cellulari dell’influenza dell’eccesso ponderale sul cervello sembra essere molto lunga, questo primo passo dovrebbe incoraggiare il varo di numerosi progetti di ricerca finalizzati ad indagare in questo campo, e dovrebbe costituire un ulteriore ragione per coloro che sono obesi ad accettare l’impegno di restrizioni alimentari ed esercizio motorio costante.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Lorenzo L. Borgia

BM&L-12 dicembre 2015

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Fermo restando che nella massima parte dei casi di eccesso ponderale la causa è in un accumulo di grasso per riempimento degli adipociti ed aumento della massa del tessuto adiposo, si può avere un aumento del peso oltre le medie normali anche per un aumento relativo ed assoluto della massa magra, come accade negli atleti di discipline sportive che richiedono sviluppo di grande potenza muscolare o in coloro che praticano il body building. Per tale motivo, oltre che per ragioni legate a particolari condizioni patologiche, il peso da solo non è una misura sufficiente.